Il lato dolce della Patagonia

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Buongiorno cari lettori e buon mercoledì. Torna a trovarci Eleonora che ci ha parlato qualche tempo di una Argentina Non Convenzionale, ricordate? Oggi ci parla di un nostro sogno nel cassetto, la Patagonia. Buona lettura!

E così, ripartimmo.

Una lunga camminata nel bosque Arrayanes chiuse il primo soggiorno del viaggio , trascorso in una tenda piantata al camping del lago Falkner, non lontano da San Martin de Los Andes.

Il camping era un luogo magico a cui tornare alla fine delle nostre giornate da instancabili girovaghi, un fazzoletto di riva tutto per noi, che ci ha regalato tramonti rosati e nottate in cui abbiamo sfruttato il chiarore della gigantesca luna piena come unica fonte di luce.

Poi sempre più a Sud, sempre più vicini al Cile, destinazione San Carlos de Bariloche, una delle mete sciistiche più ambite durante l’inverno.

Per arrivarci, la nostra guida argentina volle mostrarci una strada alternativa alla consueta Ruta Naciònal 247, anche detta la “ruta de los 7 lagos. La sua scelta mi riportò alla mente una celebre poesia di Robert Frost, “Two roads diverged in a yellow wood/ and I – I took the one less traveled by, and that has made all the difference.”

Mi sembrò d’essere arrivata su Marte senza aver avuto bisogno dell’astronave. Era il Paso del Cordoba, 1300mt sopra il livello del mare. Dalle montagne ai canyon in un batter di ciglia, gli spuntoni prendevano nomi diversi in base alle forme assurde che la natura si era divertita a plasmare sotto le raffiche del vento e del tempo (uno per tutti: il Biberon).

Le ruote già sazie di “rupio”, l’assenza di asfalto, giunsero a Bariloche in cerca del prossimo sito dove fare l’uovo. Seguimmo il consiglio dell’autostoppista a cui per gioco demmo un passaggio fino alla spiaggia e tornammo su una rotta più avventurosa della precedente: perfino il navigatore non la riconobbe.

Off road. Prima o poi saremmo giunti a Colonia Suiza, che, come si può dedurre facilmente dal nome, ci avrebbe catapultato in un’atmosfera spiccatamente svizzero-bavarese. Una sorta di comune hippie che l’indomani ci avrebbe regalato una bellissima fiera artigianale in cui, fra poncho ed accessori in cuoio decorati con la tipica fantasia mapuche, si sarebbero insinuati birra artigianale e torte al formaggio multistrato, ben conosciute e assaporate nella mia ultima esperienza lavorativa in Germania.

Preferì alimentare il diabete da Rapa Nui: Bariloche, infatti, è anche famosa per la produzione di cioccolato, il più buono del Paese. Nel cafè di questa catena, la migliore fra le tante del centro cittadino, mancava solo Willy Wonka.

La temperatura sempre più rigida ci fece concedere volentieri un indimenticabile, bollente affronto alla dieta. L’architettura da chalet di montagna si replicava anche negli edifici pubblici collocati sulla piazza principale (municipio, biblioteca, stazione di polizia ed ufficio postale) tutti concentrati in un quadrato, come spesso accade in Argentina.

Per terra si ripeteva il disegno di un fazzoletto legato come cuffia: era lo stemma delle mamme dei desaparecidos che ancora oggi cercano i loro figli, come notai poi, grazie ai nomi scritti sotto ad ogni simbolo. Questi, insieme al gran sole della bandiera a fondo azzurro e bianco che sventolava verso il lago Nahuel Huapi, mi ricordarono per un attimo di essere in Argentina, e che il caldo sarebbe tornato oltre le nubi.

In realtà il Grande Sud, che è fatto al contrario rispetto alle nostre abitudini, in seguito ci avrebbe regalato lunghi e freddi giorni di pioggia, ma anche riscaldati con un tango ballato per strada da due giovani passanti, più bravi e veritieri dei finti figuranti che avrei osservato passeggiando per le viuzze colorate de El Caminito di Buenos Aires.

Ah, quasi dimenticavo! Bariloche e Colonia Suiza erano comodamente collegate da una strada asfaltata. Ce ne accorgemmo troppo tardi, con una risata.

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Elisa e Luca

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